Jorge luis Borges, una rosa profumata di sillabe


di Arturo Olibano. Se c’è un autore che rappresenta il compendio di una lucida visionarietà universale, della lettura e della letteratura, questi è Borges. Nelle sue contemplative allucinazioni e rivelazioni oppiacê, il profumo incantatorio e assolutorio della poesia, si macerava e mescolava all’assordante ritmo geometrico della prosa, che attutisce e copre, come una clamide silenziosa e setosa di rose, l’euforica catastrofe dell’orrore della vita. Una scrittura che «non riproduce in righe orizzontali il volo della voce; erige in colonne l’immagine delle cose» (Foucault); un autore di «un’opera unica, costruita sul tema vertiginoso dell’assenza dell’opera» (Paz).  Jorge Luis Borges ha camminato ed ha accarezzato sogni labirintici, giardini di spade, specchi di tigre, biblioteche pugnalate da rose insanguinate. Issava e incassava le spalle ad una supposta realtà degradata a realistico realismo: con la sola forza illogica e illibata delle parole, con il soffio greve e pungente delle pagine di sabbia, con l’occhio veggente di un omerico decifratore, con le finzioni di ferro dell’artefice inquisito.
Giocatore di scacchi inventivi e immaginativi, si era rifugiato in un roseto di sillabe frantumate sulla levigata superficie di ombre lunari e prologhi cifrati. Enfatico estremista d’irrealtà visibili e di enigmi metafisici, tra i suoi segni e simboli onirici ed eretici vi è la Rosa  «pregna di interno profumo, che narra i segreti del tutto» (Rumi). Non la rosa reale, nel suo aspetto sensibile, fenomenico, ma quella ideale, che oltre a ferire con i suoi aghi permalosi e puntigliosi, sa rendere ciechi più della morte. La Rosa Profonda del 1975 è il titolo di una sua raccolta poetica, dove egli “guardò una rosa / e le disse con tacita parola […] l’incessante marea del tuo profumo / sale al mio vecchio volto che declina […]. Sono cieco e ignorante, ma intuisco / che sono molte le strade. Ogni cosa / è infinità di cose. Sei musica, / firmamenti, palazzi, fiumi, angeli, / rosa profonda, illimitata, intima, / che Dio indicherà ai miei occhi morti.”  La rosa di Borges diventa come il rosa dal fondo mercuriale e fatale di Goya; come un rosa cupo e delittuoso di Rothko. “Prima di sprofondarmi nell’inferno / i littòri del dio mi permisero di guardare una rosa. / Quella rosa è ora il mio tormento / nell’oscuro regno.” Ma quella sbocciata nell’ora dell’alba dal fiato erotico ed ipnotico, è “La rosa, / l’immarcescibile rosa che non canto, / quella che è peso e fragranza, / quella del nero giardino nella notte profonda, / quella di qualunque giardino nella notte profonda, / quella di qualunque giardino e di qualunque sera, / la rosa che risorge dalla tenue / cenere per arte d’alchimia, / la rosa dei persiani e di Ariosto, / quella che è sempre sola, / quella che è sempre la rosa delle rose, / il giovane fiore platonico, / l’ardente e cieca rosa che non canto, / la rosa irraggiungibile”: Rosa.

Commenti