Guido Morselli: Il Sentimento del male e del mistero

Guido Morselli: nacque a
Bologna nel 1912
di Arturo Olibano
«Non penso che uscirò stasera / a volte sai mi sembra che / tutto è normale tranne me / come se io dal mondo fossi differente / come gli sguardi giù in città / quelli che tagliano a metà occhi vaganti / ed io un alieno tra la gente» (“Ae-Au”, in Destinazione Paradiso, 1995). Questi versi, incisivi e concisi, cantati da Gianluca Grignani (sodàle fraterno del Floral Designer sannita-caudino, Fabio D’Ambrosio), che hanno come punto di riferimento e di richiamo costante la figura gigante di Eugenio Montale, sono lo specchio più fedele e rappresentativo dello stato d’animo-fobantropo che ha condizionato l’esistenza dello scrittore “Postumo” Guido Morselli, :«respinto in vita dall’incomprensione dei giudici» (G.Pontiggia), ma oramai un maestro riconosciuto, non più misconosciuto. La forza di esistere e resistere della sua opera, si è depositata in fondo alla stiva termica e acustica della collana dei classici “La Nave di Argo”(Adelphi), accanto ad altri nobili marinai di ventura: Benedetto Croce, Alberto Savinio, Carlo Dossi, Anna Maria Ortese.
L’anno prossimo (15 agosto 2007) avrebbe compiuto 95 anni. Morselli fu un Dandy (detestava e nutriva un disprezzo imperterrito per la maldicente volgarità ed era posseduto da un senso fortissimo e profondissimo della dignità e della discrezione); uno sportivo (alpinista, sciatore e nuotatore); un ecologista ante-litteram; un salutista (“Dizionario dietetico”, mangiava solo cibi biologici); un “gonnaiolo” (come lo definì Maria Bruna Bassi, l’amica della vita e sua erede testamentaria); un irregolare (non allineato con l’esercizio burocratico di una vita ordinaria, ma viveva le sue giornate all’insegna e nel nome di una irriverente libertà); un lettore onnivoro, vorace e feroce «peripatetico a salti e ritorni»; un viaggiatore curioso ed estremamente calcolato (conosceva alla perfezione la lingua tedesca e inglese). Intrattenne rapporti epistolari con i maggiori e i migliori intellettuali del suo tempo e collaborò a vari periodici: “La Prealpina”, “Il Corriere del Ticino”, “Il Corriere Lombardo”, Il Tempo” di Milano, e, fu corrispondente da Bonn per “Il Mondo”, diretto da Mario Pannunzio. Grazie ad una rendita vitalizia annua assegnatagli dal padre, si dedicò interamente e intensamente ai suoi studi, guidati e sostenuti da un fervente autodidattismo. E, proprio dopo la morte del padre (1958), si trasferì nella villa-podere di Santa Trìnita di Gavirate, fuori Varese, progettata da lui stesso e priva di ogni confort moderno. Qui trascorse nella tranquillità (minata e minacciata da bande di motocrossisti e da una famiglia di ghiri rifugiatisi nel sottotetto) solitaria e appartata gli ultimi anni di vita, dove nella notte fra il 31 luglio e il 1 agosto del 1973, accarezzò la sua «ragazza dall’occhio nero» una pistola militare Browning,  si sedette sulla sedia di tela a sdraio e se la puntò contro: dopo una serie di “spiacenti declinare” editoriali, tolse il disturbo. «Nessuno mi vuole stampare e io ho bisogno di essere stampato; per provarmi che esisto, per scrivere ancora ho bisogno di essere stampato». Queste parole scritte da Dino Campana in una lettera del 1924  indirizzate a Giuseppe Prezzolini, ci offrono e ci restituiscono il senso pieno e autentico dei turbamenti morselliani. Gli unici libri pubblicati in vita (a sue spese) furono: “Proust o del sentimento”, Milano, Garzanti, 1943 e “Realismo e fantasia”, Milano, Fratelli Bocca Editori, 1947. Nel 1952 Morselli si dedicò alla stesura di un saggio (il secondo volume di una trilogia che comprendeva “Filosofia sotto la tenda” e “Due vie della mistica”)  “Fede e critica” (costituito da 10 capitoli, preceduti da una succinta Nota introduttiva) che aveva come titolo provvisorioImparare a credere, in cui intendeva pervenire e approdare ad una definizione esaustiva del male, che resterà il filo e il motivo conduttore dell’intero saggio, il tratto unificante di tutta la sua produzione:«un lungo,drammatico itinerario della mente e della scrittura sui sentieri del male e della sofferenza» (C. Mariani), ponendosi :«domande non sulle conseguenze, bensì sulle cause che regolano la sofferenza e il male sulla terra» (F.D’Episcopo).  L’opposto della felicità è il male (concreto non metafisico) che s’identifica con la sofferenza, la quale, a sua volta, corrisponde alla negazione dell’esistenza, in conformità a quel principio enucleato ed evidenziato, secondo cui “La felicità non è un lusso”. «Il male consente paradossalmente di scoprire e valorizzare tutta la nostra nascosta umanità, provocando la conversione. […] Male e mistero si congiungono: quanto più grande è il male tanto più piccolo diventa il mistero dell’Essere, pur permanendo il suo stato di inconoscibilità e, quindi, di impenetrabilità. Ciò senza nulla togliere – e su questo punto lo scrittore insiste - alla forza di una religiosità, che con il mistero dialoga intensamente, intimamente. Ragione e sentimento non si contendono lo spazio del divino, ma si integrano. […] La fede si conferma “certa praelibatio veritatis”, secondo la parole di San Bernardo e secondo l’esperienza di Morselli, che, da uomo comune, avverte la fede come vertigine, come conforto superiore, protezione suasiva; come tensione, come slancio e successione di momenti razionali e irrazionali, rivolti però alla conquista del vero bene. Oltre la bestemmia, profanazione del nome di Dio, dentro la preghiera, che Dio ricerca e ritrova. Preghiera che nasce dal bisogno umano di Dio, come la vita, che nasce dal bisogno che ogni uomo ha del proprio prossimo. Solo così, alla fine, il miracolo sarà possibile» (Francesco D’Episcopo, “L’eresia del sentimento: Guido Morselli, i saggi critici”, Pomigliano D’Arco (NA), Edizioni Oxiana, 1998 – Premio Internazionale letterario “L. Vanvitelli” per la saggistica).    

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